FotoCumuloDisorganizzato

22 agosto 2010

ISTANBUL

Tutte le immagini sono state scattate in città nell'estate del 1969.

Le prime, a colori, sono di modestissima qualità tecnica e, forse, non solo. Sono state scansite da diapositive montate nel telaietto, con tutto quanto comporta questo fatto. Avrei potuto migliorarne l'aspetto o trasformarle in B&N, ma ho preferito non toccarle. Secondo me l'aspetto vecchiotto e il colore imperfetto rendono l'idea della situazione ambientale del momento in cui furono scattate.

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Com'è andata

Il mio primo apparecchio fotografico è stato una Comet Bencini, produzione italiana, Milano. Avevo circa dodici anni e la vedevo ogni mattina andando a scuola, esposta nella vetrina di un negozio di Piazza delle Cure, proprio accanto a Cavini, il gelataio migliore di Firenze, almeno a quei tempi. Più che una macchina fotografica, per la sua forma, sembrava una cinepresa. Aveva pochissimi comandi e un formato di pellicola piuttosto anomalo: 4x4. Di lei ho perso le tracce, purtroppo, e ho provato una gran rabbia per questo fatto quando, al Museo Alinari della Fotografia di Piazza Santa Maria Novella a Firenze, l'ho rivista esposta insieme ad altri apparecchi "vecchi". La cosa mi ha disturbato anche perché vuol dire che anch'io, allora, sono già da Museo!
La usai molto, ma prendendoci gusto cominciai a desiderare qualcosa di diverso e più evoluto.
Fui fortunato visto che mio padre ebbe in regalo, dopo un paio d'anni, una Vojgtlander Vitomatic II B a telemetro, formato 24x36, esposimetro incorporato ed ottica Color Skopar f2.8. Il dubbio che in realtà lui l'avesse comprata per me senza volerlo ammettere l'ho ancora, anche perché io ne divenni da subito l'unico utilizzatore. Quella è ancora viva e vegeta, custodia compresa, anche se non la utilizzo da anni.
Anche in questo caso la voglia di migliorare venne presto. Si stavano affermando le Reflex 24x36 costruite in Giappone ed io, tralasciando il modo non proprio impeccabile col quale riuscii a procurarmi i soldi (Nota), potei acquistare una Canon FX, ottica 50mm f1.8 intercambiabile, attacco a baionetta, telemetro a sdoppiamento di immagine, esposimetro, formato 24x36. Mi accompagnò in alcuni viaggi ed era con me quando mi muovevo a Firenze: direi che sino ai 18 anni ho utilizzato quella con soddisfazione.
Ma il mito della Nikon F Photomic, ovvero quella col cupolino-esposimetro, si era già impadronito di me. Davvero non ricordo come riuscii ad acquistarne una, ma lo feci, e riuscii anche a dotarmi di alcuni obiettivi tra cui un meraviglioso 20 mm, f3.5, col quale ho scattato gran parte delle foto qui accanto. Però mi sembrava innaturale scattare e non poter gestire il processo fino in fondo. Si rese necessario un ingranditore per poter stampare in casa dopo aver sviluppato le pellicole: un rito ineguagliabile.
Arrivò il Durst M300 con obiettivo Componar, f3.5. Non era il massimo, quell'obiettivo, ma il Componon costava troppo e la corda cominciava a essere tesa. Il bagno opportunamente oscurato e illuminato di rosso era perfetto.
La scelta dei materiali era una sfida continua. Pellicole Ilford FP3, poi FP4, HP4 quando c'era poca luce, tirate anche ad 800 ASA. Carta Ilford lucida e semimatt, qualche volta anche Agfa e Kodak. Lo sviluppo per carta era quasi sempre Ornano, ma non ricordo la sigla. Per sviluppare le pellicole usavo il Rodinal che aveva la caratteristica di adattarsi bene a ogni supporto ed era molto flessibile: se desideravo più contrasto bastava un minuto di più e via dicendo. La vaschetta dove inserire la pellicola era una Paterson, ed è ancora tra i reperti in mio possesso: il momento dell'avvolgimento del film a quella specie di spirale, nel buio assoluto, comportava sempre un po' di tensione e se qualcosa andava storto era panico assoluto.
Ma non mi pare di aver mai rovinato nessuna pellicola. Forse!
Dopo alcuni anni di Nikon F, apparecchio meraviglioso, iniziò una fase autodistruttiva.
Cominciai a considerare che la qualità della mia "produzione" non meritasse una macchina tanto prestigiosa e che, in definitiva, era sprecata nelle mie mani. Decisi di venderla con tutti gli obiettivi che non erano pochi.
A distanza di anni posso dire che quella sensazione forse nascondeva qualcosa di assai meno lodevole e poetico. La Nikon F era molto pesante e ingombrante e sul mercato si stava affacciando la prima Reflex veramente compatta e leggera: Olympus OM1.
Quanto realizzato con la vendita della Nikon F mi consentì di acquistare la OM1 con un paio di obiettivi. Col tempo se ne aggiunsero altri che, insieme alla macchina, possiedo ancora e che talvolta guardo con nostalgia mentre provo la funzionalità dell'otturatore: ancora perfetta. La Olympus OM1 è stata l'ultima analogica della mia collezione nel corso degli anni. Con quella, abbandonato il bianco e nero per motivi di spazio e di tempo, ho scattato diapositive, ma non è
stata più la stessa cosa dei tempi eroici della camera oscura, degli acidi, del fissaggio e del bagno illuminato di rosso, talvolta anche in compagnia!
Ora scatto in digitale, ma io non sono più lo stesso. E' bellissino scattare, vedere e stampare, senza liquidi e senza luci rosse, ma la fotografia, per me, è un'altra cosa: è quella che ormai, in pratica, non esiste più. Pazienza!

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22 agosto 2010

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